Il Legislatore europeo prima (con la direttiva (UE) 2018/2001) e italiano poi (con il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 199) ha disciplinato le c.d. “Comunità energetiche rinnovabili” al fine di promuovere l’uso delle energie rinnovabili.
La CER, come definita dall’art. 31, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 199/2021 è: “un soggetto di diritto autonomo” e “l'esercizio dei poteri di controllo fa capo esclusivamente a persone fisiche, PMI, associazioni con personalità giuridica di diritto privato, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonché le amministrazioni locali contenute nell'elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall'Istituto Nazionale di Statistica (di seguito: ISTAT) secondo quanto previsto all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che sono situate nel territorio degli stessi Comuni in cui sono ubicati gli impianti per la condivisione di cui al comma 2, lettera a)”.
Dalla lettura del testo normativo emerge che il soggetto giuridico CER, autonomo rispetto ai suoi membri, vede la partecipazione, tra gli altri soggetti elencati, degli enti religiosi, ciò rilevando sotto i diversi profili normativi che vedono la complessa compresenza della legge dello Stato e quella del diritto canonico nonché delle implicazioni di carattere giuridico sulle “attività” e sulla “veste giuridica” che lo stesso ente religioso, potrà apportare nella Comunità.
Qualificazione dell’ente ecclesiastico…
Ai sensi dell’art. 4 della Legge 20 maggio 1985, n. 222: “Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell'ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”; pertanto, gli enti ecclesiastico non sono “enti privati” né “enti pubblici”, ma enti di una più ampia e autonoma organizzazione confessionale, ai quali lo Stato si è limitato a riconoscere la personalità giuridica.
A tali enti sono applicabili, oltre alle norme specificamente previste per essi dall’art. 7 dell’Accordo 18 febbraio 1984 (L. 222/1985) e alle Leggi n. 206 e 222 del 1985, le disposizioni del codice civile dettate per le persone giuridiche (artt. 473, 600, 692, 782, 795) e quelle altre disposizioni di leggi statuali che, in base alla volontà del Legislatore , siano riferibili anche agli enti ecclesiastici.
Sotto il profilo delle attività degli Enti ecclesiastici diverse da quelle di religione o di culto emerge che…
Gli enti della Chiesa cattolica possono diventare per lo Stato “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti” ove abbiano il fine ”costitutivo ed essenziale” di religione o di culto (artt. 2 e 4 della Legge 20 maggio 1985, n. 222); ciò non significa che tali enti non possano svolgere altre attività, anzi sono liberi di svolgere tutte quelle attività che sono lecite nell’ordinamento dello Stato (art. 15 della Legge 20 maggio 1985, n. 222).
La soggezione alle leggi dello Stato di dette “attività diverse” da parte degli enti ecclesiastici, deve avvenire “nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti”; l’art.16 della Legge 20 maggio 1985, n. 222 precisa che per “attività diverse da quelle di religione o di culto” si intendono “quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.
Ne deriva che, non è escluso che un ente ecclesiastico possa anche svolgere un’attività di natura imprenditoriale, purché il lucro da esso perseguito non sia soggettivo (ossia la divisione di utili), bensì oggettivo, tendente a realizzare un incremento patrimoniale ai soli fini di acquisire i mezzi necessari per perseguire le finalità essenziali (di religione o di culto) dell’ente stesso.
Potrebbe apparire sufficiente, affinché un’attività si qualifichi come imprenditoriale, la presenza, non necessariamente mirata al perseguimento di siffatto fine di lucro oggettivo, degli altri requisiti previsti dall’art. 2082 cod. civ. e cioè “professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività, consistente nella produzione di beni o servizi ovvero nello scambio dei medesimi”; così come l’agire con metodo economico (tendere alla potenziale equiparazione tra costi e ricavi).
È necessario che l’attività commerciale non solo non sia prevalente rispetto a quella di religione o di culto, ma deve essere ad essa strumentale, si che le operazioni commerciali appaiono giustificate se direttamente rapportabili alle attività istituzionali.
Vale la pena evidenziare che, nell’ambito delle CER si individuano tra gli obiettivi principali, "benefici ambientali, economici o sociali, a livello di comunità che la stessa dovrà fornire ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera, e non quello di realizzare profitti finanziari"; venendo in rilievo tra le attività principali l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili e la condivisione con i membri della Comunità dell’energia prodotta. La CER può, inoltre, promuovere altre e strumentali attività, tra cui: efficienza energetica; servizi di ricarica di veicoli elettrici; servizi di vendita al dettaglio dell’energia elettrica e servizi ancillari di rete e di flessibilità.
In linea di principio, l’ente ecclesiastico potrà svolgere “attività diverse da quelle di religione o di culto”, valutando con le dovute cautele previste dalle norme di diritto canonico e statali, le attività proprie di una CER ed il loro ambito di applicazione.
I confini delle “attività diverse” dell’ente religioso tra Impresa sociale e del Terzo settore
Ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112 - Revisione della disciplina in materia di impresa sociale – “Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2” - ovvero: (…) art. 2 lett. e) del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112: “interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente e all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, nonché alla produzione, all'accumulo e alla condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo, ai sensi del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199” - “a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, recepisca le norme del presente decreto. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 9. I beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato. Per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui all'articolo 2, gli enti religiosi civilmente riconosciuti rispondono nei limiti del patrimonio destinato. Gli altri creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di cui al citato articolo 2”.
La norma pone il diritto per gli enti religiosi civilmente riconosciuti di rientrare nella sfera di applicazione del decreto in materia di impresa sociale e quello del Terzo settore, pur non potendo acquisire a tutto tondo la qualifica di “enti non profit” in quanto devono necessariamente svolgere almeno un’attività “di religione o di culto” che, in quanto tale, non rientra nel novero di quelle di interesse generale che il legislatore riconduce all’impresa sociale (Art. 2 del D.Lgs. 112/2017) e del Terzo settore (Art. 5 del D.Lgs. 117/2017).
Al fine di consentire agli enti religiosi civilmente riconosciuti, l’applicazione della disciplina prevista dal decreto in materia di impresa sociale e del Terzo settore, occorre che:
- siano “enti religiosi civilmente riconosciuti”;
- svolgano almeno una delle attività di interesse generale (previste dal decreto);
- adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata (al fine di perimetrare le attività svolte dall’ente religioso che si qualifica come atto di straordinaria amministrazione); • sia costituito un “patrimonio destinato”;
- siano “tenute separatamente le scritture contabili”.
La costituzione di un Ramo “Onlus” da parte dell’ente religioso che decide di dar vita ad un Ramo di Terzo settore o di Impresa sociale non impone di imputarvi tutte le attività di interesse generale, potendo invece inserire solo alcune delle predette attività.
Tale soluzione permette all’ente religioso di non dover costituire un ente civile, che assuma la qualifica di ETS o di Impresa sociale, per poter svolgere le attività di interesse generale e la relativa norma di favore del Terzo settore.
Il Ramo “Onlus” è un istituto introdotto dall’art. 10, comma 9 del D.Lgs. 460/1997 per cui: “Gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, sono considerati ONLUS limitatamente all'esercizio delle attività elencate alla lettera a) del comma 1; fatta eccezione per la prescrizione di cui alla lettera c) del comma 1, agli stessi enti e associazioni si applicano le disposizioni anche agevolative del presente decreto, a condizione che per tali attività siano tenute separatamente le scritture contabili previste all'articolo 20-bis del decreto del Presidente delle Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'articolo 25, comma 1”.
Con la riforma del Terzo settore il legislatore ha introdotto un ulteriore elemento, il “patrimonio destinato” che ha l’effetto di distinguere il patrimonio dell’ente religioso da quello destinato al Ramo “Onlus”, riservando a ciascun patrimonio una precisa categoria di creditori.
Gestione in proprio o affidamento ad un ente strumentale?
L’ente ecclesiastico può operare due scelte:
- di gestire in proprio un’impresa sociale in qualsiasi settore di interesse generale, compreso quello ambientale ed energetico (gestione diretta) oppure
- di affidare la gestione ad un ente strumentale, da esso, appositamente costituito (gestione indiretta).
Ciò richiede una valutazione di opportunità, in relazione alle finalità altruistiche e solidaristiche dell’ente e di convenienza dell’accesso o meno nell’ambito dell’impresa sociale o del Terzo settore in conseguenza del più efficace soddisfacimento dell’interesse dei beneficiari di tale attività.
Alla luce delle tematiche su accennate ed in relazione alla complessità della materia, la domanda da porsi non riguarda solo la veste giuridica che la CER potrà adottare, bensì quali attività e quali caratteristiche proprie di ciascun soggetto partecipante saranno da tenere in considerazione nella fase di analisi del modello giuridico CER da accogliere.
Per ulteriori informazioni e supporto nella realizzazione di una CER potrai scrivere a: federica.sarcinella@enerleg.it