L’attuale esigenza e urgenza di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, visti i risvolti climatici e ambientali, investe interessi pubblici connessi non solo alla sostenibilità ambientale ma anche alla sicurezza energetica di cui all’art. 134 del Trattato di Lisbona.
Nel tempo sono nati istituti innovativi tra i quali spiccano certamente le Comunità energetiche rinnovabili, espressione secondo il legislatore europeo, di un fenomeno aggregativo dal basso che mira alla decentralizzazione e alla localizzazione delle fonti di produzione dell’energia rinnovabile.
Nella concezione del legislatore europeo le Comunità energetiche divengono dei veri e propri soggetti di diritto che canalizzano le istanze dal basso, ammettendo la partecipazione tanto di soggetti privati, quanto di soggetti pubblici.
È rilevante a tal fine, rappresentare la definizione contenuta all’art. 31, comma 1 del Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 199 che definisce la Comunità energetica rinnovabile come “soggetto di diritto autonomo” per cui “l'esercizio dei poteri di controllo fa capo esclusivamente a (…) enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, (…) nonché le amministrazioni locali contenute nell'elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall'Istituto Nazionale di Statistica”, ciò implica un’attenta analisi in merito alla partecipazione dell’ente pubblico in una Comunità energetica rinnovabile che vede, appunto, la compartecipazione di diversi soggetti privati e pubblici.
L’analisi di questi modelli rende imprescindibile la legittimità degli stessi nell’attuale quadro normativo.
Va quindi preliminarmente sottolineato che, in relazione agli istituti in commento, nel nostro ordinamento non esiste una nozione di impresa pubblica, ma la mera nozione di impresa, che può definirsi pubblica solo in quanto in mano a poteri pubblici.
Pertanto, si considerano pubbliche, le imprese nei confronti delle quali i pubblici poteri possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che le disciplina.
Rileva a tal fine il concetto di influenza dominante che viene presunta quando i pubblici poteri, direttamente o indirettamente, detengono nei confronti dell’impresa la maggioranza del capitale sottoscritto dall’impresa stessa, oppure dispongono della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall’impresa, o possono designare la metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa.
Un ulteriore aspetto da tenere in debita considerazione nell’analisi dei modelli di Comunità energetica rinnovabile con partecipazione pubblica riguarda lo status giuridico dei membri della Comunità energetica, da cui derivano una serie di diritti e obblighi, configurandosi quale esplicitazione dell’autonomia negoziale che si sostanzia nei rapporti di diritto privato discendenti dal contratto di tipo associativo che costituisce la Comunità energetica.
La nozione di “società a controllo pubblico”
A tal fine, risulta utile individuare l’ambito di applicazione e i tipi di enti che, secondo l’art. 1, co. 1 e 4 del d.lgs. n. 175/2016 (TUSP) “1.(…) hanno a oggetto la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta”- “4. Restano ferme: (…) b) le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di amministrazioni pubbliche a enti associativi diversi dalle società e a fondazioni” e l’art. 3, co.1 del TUSP per cui: “Le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa”.
Occorre, inoltre, accennare alla nozione di “società a controllo pubblico” che risulta dall'esame del combinato disposto delle lettere b) ed m) del comma 1 dell'articolo 2 del TUSP (Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175).
In particolare: la lett. b) definisce il “controllo” come la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile, aggiungendo che il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale sia richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo; la lett. m) stabilisce che sono "società a controllo pubblico" le "società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)".
Alla luce del mutato contesto normativo, le fattispecie riconducibili alla nozione di controllo sono rappresentate da quanto disciplinato all’art. 2359, comma 1, punti n. 1 (società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria) e n. 2 (società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria), e n. 3 del codice civile nella situazione in cui una società è sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Rientrano fra le società a controllo pubblico anche quelle a controllo congiunto, ossia le società in cui il controllo ai sensi dell’art. 2359 del codice civile è esercitato da una pluralità di amministrazioni.
Sulla materia del controllo pubblico congiunto è intervenuta la sentenza 10 marzo 2023, n. 2543 del Consiglio di Stato, Sez. V, fornendone una interpretazione estensiva In particolare, i giudici amministrativi hanno rilevato come: “sebbene sia controversa e non univoca la nozione di "controllo pubblico congiunto" di cui alla lett. m) dell'articolo 2, comma 1, decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (TUSP), il dato testuale – che richiama un «potere», in correlazione alla lett. b) del medesimo articolo – e l'interpretazione da più parte datane (cfr. Cons. Stato, V, 23 gennaio 2019, n. 578; Corte dei Conti, SS.RR. giur., 22 maggio 2019, n. 16; Orientamento MEF del 15 febbraio 2018) sono tali per cui non è sufficiente a tali fini una semplice sommatoria delle partecipazioni di soggetti pubblici tale da esprimere la maggioranza del capitale sociale – potendosi diversamente conformare e modulare gli assetti di potere nell'ambito degli organi societari – ma occorrono piuttosto, in assenza di un controllo monocratico ex articolo 2359 del Codice civile, atti o accordi che vincolino i soggetti pubblici all'esercizio congiunto delle loro prerogative, così da rendere concreto ed effettivo un potere di controllo pubblico (Cons. Stato, n. 578 del 2019, cit., richiamata anche da Cons. Stato, III, 3 marzo 2020, n. 1564; Corte conti, n. 16 del 2019, cit.), o quanto meno un comportamento concludente dei soci pubblici orientato in tal senso (Orientamento MEF, cit.; cfr., in senso diverso, Corte conti, SS.RR. contr., 20 giugno 2019, n. 11; ANAC, delibera 25 settembre 2019, n. 859)”.
La nozione di controllo per gli altri enti di diritto privato partecipati
Sono da ricomprendere tra gli “altri enti di diritto privato partecipati” quegli enti di natura privatistica, diversi dalle società, con particolare riguardo agli enti costituiti in forma di “fondazione” o di “associazione” ai sensi del Libro I, Titolo II, Capo II, del codice civile.
Si configura il controllo pubblico anche per tali enti di diritto privato diversi dalle società, quali le associazioni, fondazioni e altri enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 33/2013, che abbiano cumulativamente uno dei seguenti requisiti.
1) bilancio superiore a 500.000 euro;
2) finanziamento maggioritario per almeno due esercizi consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni; (per contributi pubblici devono intendersi sia i trasferimenti e i contributi di natura corrente e in conto capitale, sia i corrispettivi per la fornitura di beni e servizi verso la P.A. e per l’erogazione di servizi pubblici)
3) designazione da parte delle pubbliche amministrazioni della totalità dei titolari o componenti dell’organo di amministrazione o di indirizzo.
È quindi l’attività di pubblico interesse svolta da questi soggetti anche interamente privati che li attrae nell’alveo dell’applicazione della normativa sulla trasparenza (solo su tali attività), purché di dimensioni economiche significative come previsto normativamente.
La definizione di attività di pubblico interesse data dall’ANAC con determinazione n. 113 del 8 novembre 2017
Sotto il profilo oggettivo, si qualificano attività di pubblico interesse ai sensi dell’art. 2 bis, co. 3 d.lgs. n. 33/2013:
a. le attività di esercizio di funzioni amministrative;
b. le attività di servizio pubblico;
c. le attività di produzione di beni e servizi rese a favore dell’amministrazione strumentali al perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Restano escluse, le attività dello stesso tipo rese a soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni sulla base di contratti meramente privatistici (nel mercato), nonché le attività strumentali interne, cioè le attività dello stesso tipo svolte a favore dello stesso ente privato e dirette a consentirne il funzionamento.
Ne deriva che sono certamente di interesse pubblico le attività così qualificate da una norma di legge o dagli atti costitutivi e dagli statuti degli enti e delle società, nonché quelle demandate in virtù di un contratto di servizio ovvero affidate direttamente dalla legge.
Ai sensi dell’art. 4, co. 2 del d.lgs. n. 175/2016, è possibile individuare le attività di pubblico interesse, per cui: “Nei limiti di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:
a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;
b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;
d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;
e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016”.
Per concludere, la partecipazione di soggetti pubblici alle Comunità energetiche impone di tenere in considerazione le possibili deviazioni che questa comporta rispetto agli schemi associativi di diritto privato, sulla base dei quali queste Comunità possono essere effettivamente costituite.
Tali deviazioni possono essere ricondotte , in generale, alla capacità dell’ente pubblico di partecipare al nuovo soggetto, e in particolare, ai modelli giuridici che possono astrattamente trovare applicazione.
Per maggiori informazioni e supporto scrivi a: federica.sarcinella@enrleg.it